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domenica 9 marzo 2008

Competizione, Realizzazione, Collaborazione

Uno degli aspetti più esaltanti e ricchi della rete è la possibilità di esporre nel modo che più ci aggrada un pensiero, un'idea - una riflessione - e renderlo oggetto di una discussione aperta ad un pubblico potenzialmente illimitato. Questa è la grande potenza dei blog, questa è la raison d'etre dei forum. Perchè questo preambolo? E' vero che nell'ambiente universitario si venga inevitabilmente a perdere la struttura organizzatiava del gruppo classe. Questo accade per due ragioni principali: anzitutto, la ragione tecnica del numero. Il gruppo classe si basa sulla possibilità di avere una conoscenza, fosse anche sommaria, di tutti i membri della comunità - tanto da poterne ricordare nomi e cognomi. Nel contesto di Medicina questo è reso impossibile dalla grande dispersione legata al numero degli iscritti. In secondo luogo, l'ambiente universitario non è strutturato in vista di una condivisione; è piuttosto organizzato in un modo tale che il singolo studente si trovi a compiere un percorso di sostanziale solitudine dal punto di vista didattico, con effetti indubbi anche sul lato sociale.
Sin da quando ho messo piede per la prima volta nell'aula grande del Cubo, qualcosa ha profondamente colpito la mia attenzione e la mia sensibilità di essere umano. Ne ho parlato più volte con i miei amici e con le persone che ogni giorno mi circondano; dentro di me, però, ho sempre nutrito la convinzione che questo mio - e non solo mio - pensiero potesse avere un valore non da poco. Il passo successivo, dunque, sarebbe naturalmente stato la ricerca di un sistema per comunicarlo ad un numero di persone quanto più grande.
L'aspetto potentissimo e meraviglioso dei blog e dei forum è che rendono possibile esattamente questa condivisione: essi esistono nella realtà, ma allo stesso tempo sono in grado di individuare una dimensione "altra" rispetto alla realtà, dove c'è tempo per organizzare ogni giorno lunghe discussioni di gruppo e "conferenze". Da questo punto di vista non deve sfuggire a nessuno l'utilità di uno strumento del genere a complemento della realtà quotidiana.

Arrivo al sodo. Quando ci guardiamo intorno - a lezione - scorgiamo diverse realtà. C'è chi ha superato il test d'ingresso con uno studio "matto e disperatissimo" lungo un'intera estate. C'è chi ha studiato per un anno intero. C'è chi ha studiato il minimo indispensabile. C'è chi è passato per puro caso. C'è chi è passato in circostanze, per così dire, "sospette". A me non compete un giudizio di merito - e neppure a voi: quello che voglio fare è limitarmi ad una descrizione fattuale. Il "fatto" non ha segno. Non è - in sé - nè negativo nè positivo. E' un dato di cui prendiamo atto e che soggettivamente giudichiamo.

Ognuno di noi è stato guidato nella scelta da motivazioni differenti.
C'è chi ha sempre sognato di fare il medico, sin da molto piccolo, e non ha mai sentito il bisogno di ritrattare su questa aspirazione. C'è chi ha sempre amato l'idea di essere un medico, senza mai capire veramente il perchè di questa fascinosa attrazione. C'è chi non ha una motivazione forte e maturata negli anni. C'è chi ha provato ed è riuscito. Qualcuno era incerto e si sta piano piano rendendo conto di aver fatto la scelta giusta. C'è chi lo fa per seguire le orme di un genitore. C'è chi lo fa per soldi. Tutti, però, stiamo iniziando un duro confronto con la realtà, e le nostre motivazioni iniziali saranno - probabilmente - destinate a modificarsi profondamente, correggersi, rivedersi. L'aspetto effettivo delle cose modifica il nostro modo di percepire in un modo sufficientemente casuale da definirsi "stocastico". Non siamo in grado di prevedere come e quando la realtà delle cose modificherà il nostro approccio alla vita. Io, personalmente, trovo salutare che questa accada, significa essere recettivi nei confronti degli stimoli - in ultima analisi, vivere immersi nella realtà (una valore per me essenziale).
Motivazione o non motivazione, io credo che esistano diversi modi possibili per giungere alla stessa conclusione. E quando la conclusione è la realizzazione personale di un essere umano - intesa nel senso nobile del termine - sono profondamente convinto che si debbano rispettare tutti quei diversi sentieri, infiniti, che ci consentono di essere felici senza intralciare la strada altrui.
E non solo: mai giudicare un viaggio dal suo inizio. Un disastro iniziale può essere la premessa per il raggiungimento di una grande consapevolezza che avvicina enormemente alla conoscenza di sé. Parte essenziale della felicità.

La mia domanda è: Sono l'unico che vede intorno a sé troppa competitività e voglia di prevaricare?

No, so per certo di non essere l'unico.
Ma cosa c'entra questo con il discorso di prima?
Ci siamo scelti un lavoro molto particolare. Un lavoro finalizzato interamente alla cura di un essere uamano, a fare ciò che è bene per lui. Saremo chiamati a fare scelte coraggiose.
Provengo da una famiglia di medici, e se c'è una cosa che ho capito, è che il miglior medico non è quello che manteneva la media del 30 ai tempi dell'università, bensì quello che riesce a costruirsi la vita più soddisfacente possibile.
Spesso si commette - a mio avviso - un errore. Si identifica la preparazione con l'erudizione, il voto con il proprio modo di essere. Capite il grande pericolo di una cosa simile? Si finisce inevitabilmente per identificare la realizzazione personale con quella professionale. Io la trovo una cosa pericolosa e assai riduttiva. E' importante realizzarsi dal punto di vista professionale, ma la vera realizzazione di sé in quanto essere umano è una cosa che va ben al di là di questo. La realizzazione professionale è una piccola parte della propria realizzazione personale. Il resto è relazioni, passioni, sentimenti: coltivare la propria umanità.

La medicina è una scienza, non c'è dubbio; essa è però una scienza umana, e neppure su questo si deve dubitare. Mi viene in mente un famoso verso di Terenzio:
"homo sum humani nihil a me alienum puto"

Sono un uomo e niente di umano mi è estraneo.
A maggior ragione se vuoi essere un medico, dico io.
E' importante essere preparati dal punto di vista scientifico - su questo non credo ci siano dubbi. Ma pensare che finisca tutto qui è incredibilmente antiscientifico. La realtà è molto più complessa.
Per questo credo anche che dovremmo tutti quanti - come futuri medici ed esseri umani - assumere come valore fondamentale uno degli aspetti più unici del genere umano: la possibilità di collaborare. La competizione
smodata impone alle persone di chiudersi nel proprio guscio di superbia, negandosi così la possibilità di imparare dai propri compagni. Come possiamo essere tanto pazzi da non capire che a maggior ragione in medicina questo è fondamentale? E' una questione di crescita e di responsabilità: collaborare significa unire le nostre forze per essere capaci di uno sforzo maggiore per chi ha bisogno di noi. Significa mettere continuamente in dubbio ciò che sappiamo, le nostre convinzioni. Significa avere l'umiltà di riconoscere che gli altri, spesso, ne sanno più di noi e possono insegnarci qualcosa. Una persona che vive quotidianamente credendo in questo valore è ogni giorno più vicina alla sua realizzazione di essere umano, una bestia caapace di sterminare popoli e di decifrare il codice genetico. Fate voi.

5 commenti:

Matteo ha detto...

Accidenti che post bello pieno di concetti estensivi della conoscenza! ma secondo me, anche se ti danno fastidio - e danno noia anche a me -,dovresti lasciar stare quelli che tentano sempre di primeggiare a tutti i costi e perseguire la tua strada con queste convinzione, giustissime a parer mio! quando si scontreranno con la vera realtà, si accorgeranno che devono "rivedere" molte cose...
I motivi che ci hanno spinto a iscriverci a medicina sono i più vari, ma hai ragione a esortare a non perdere il contatto con la realtà!

Gherardo ha detto...

Sono completamente concorde con te...è vero le motivazioni che ci hanno spinto a fare questa scelta sono le più diverse e tutte rispettabili, però è un pò triste il clima che "aleggia" intorno a certe persone, anche se non è giusto condannarle...speriamo, come ha detto Matteo, che si scontrino con la vera realtà che sta di fondo a questa "professione", che in realtà è vocazione alla cura dell'essere umano ...

Rospetto ha detto...

La mia malinconia recente e in parte in passato sopita, alleviata solo dalla collaborazione possibile durante gli esami con te e Matteo ritorna viva, terribile e lacerante ogni volta che metto piede nell'aula. Non mi alzo contenta di venire a lezione, ho sempre paura che qualcuno mi ferisca nuovamente con le solite domande scolastiche e opportunistiche...la penso come te, lo sai, sono delusa da questo, ma non rassegnata. Credo che sia possibile risorgere dalle ceneri di questo meccanismo con la determinazione a ritagliarsi "il meglio" a cercare di collaborare e di portare la propria convinzione anche a chi, cieco per un motivo o per un altro, non ha il coraggio di affrontare la verità: non è da un voto che si giudica il valore di un uomo. Ma purtroppo è sempre stato così, soldi, successo, parametri di questo tipo regolano le nostre scale di valori...tante volte mi sento schiacciata da questo meccanismo, in questo ambiente più che mai perchè vorrei davvero che ci fosse collaborazione perchè tale sarà la necessità e la bellezza richiesta dal nostro lavoro, imprescindibile, necessaria...Sapere che non sono un'isola in questo mare magnum di pescecani (non sempre per colpa loro e non sempre consapevoli) mi dà la forza di non arrendermi e di non farmi schiacciare

Rospetto ha detto...

Dimenticavo....dovremmo trovare un modo per non perdere negli anni futuri questa nostra voglia di verità, questa nostra humanitas intrinseca...

Andreas Formiconi ha detto...

ecco, esattamente questo dovreste fare ...