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martedì 1 aprile 2008

Sul Valore del Contesto

Chiamiamolo pure "compito 5", ma - ironicamente - per il suo svolgimento richiede di svincolarsi completamente da questo concetto scolastico per sposare un modus operandi estremamente più serio e umano: la discussione.

Una delle frasi che più mi ha colpito quest'anno è stata pronunciata dalla prof.ssa Voegelin durante un'ora di fisica. Col suo fare tutto particolare se ne venne fuori tuonando: " Vi mettono in testa le risposte senza aspettare che voi facciate le domande!". E' incredibile come questa frase riassuma un po' l'intera questione dell'educazione e dell'apprendimento. Il contesto deve essere il presupposto per poter risalire alla nozione. E' sbagliato immaginare la conoscenza come un'insieme di idee platoniche cristallizzate nella loro forma perfetta in un plurimillenario iperuranio. In altre parole, la conoscenza non va accettata.

La conoscenza è in sè un fenomeno prorompente, la forma di trasgressione più elevata e folle che esista. Conoscere è divorare, sognare di strizzare il mondo tra le proprie mani e berne il succo avidamente, per tentare di dissetare uno spasmodico bisogno che non ha nè tempo nè ragione apparente. Conoscere è partecipare alla bellezza delle cose immortali e mortali, e trasalire di fronte al pensiero che nel nostro cervello - carne mortale, caduca - possa enatrare la consapevolezza di misteri così grandi da essere abissali e spaventosi - l'infinità dell'universo, la certezza della morte, l'assurdità della vita, l'indifferenza della natura.

Com'è possibile ridurre questa bomba nucleare cosmica ad una serie di nozioni da accettare come dogmi di una qualche religione laica? Non c'è molta differenza tra la passiva accettazione di un dogma come la resurrezione e la memorizzazione pedissequa di una formula matematica.

Capire - questa è la chiave, l'incentivazione della comprensione, dell'appropriamento delle cose del mondo. Attualmente è il risultato a farla da padrone: prendere bei voti, tenere una buona media, recuperare un debito formativo, essere pronti per le interrogazioni.
Questo ha una sua utilità, ma è tremendamente insufficiente, e basta guardare ovunque per rendersene conto. A cominciare dal fatto che i criteri di votazione sono spesso arbitrari e non efficaci. La tendenza è quella di confrontare ciò che lo studente è capace di ripetere con un paradigma cristallizzato da qualche parte - ma per fortuna non è sempre così, e ci sono insegnanti che comprendono estremamente bene il senso ultimo del proprio compito.

E se provassimo a lasciar succedere le cose? Se evitassimo di ricrearle tutte in una dimensione artificiale e macchinosa? Se facessimo leggere meno manuali e più romanzi, meno teoria e più pratica di laboratori, aria aperta, natura, vita, cuore.
Insomma, io voglio credere che siamo ancora capaci di essere un'umanità, e non una sorta di surrogato in polvere, in attesa di qualche dio che ci sciolga in acqua.

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