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mercoledì 30 aprile 2008

Vincitore Morale ( e un po' oracolo)

... Non è un mistero. Da tempo cercavo una definizione per la mia posizione rispetto a ben determinate cose. L'ho trovata, e credo che sia il mio più riuscito tentativo di dare un nome a ciò che sfugge per natura.

Io sono un Vincitore Morale. Avete presente? Io sono quello che non vince mai, ma che si deve sempre sentir dire cose come "Loro non ti hanno riconosciuto quanto avrebbero dovuto" o " questo mondo non è pronto per uno come te" o la sempre in voga "ha vinto un altro, ma tu sei sicuramente il vincitore morale". Certo, quello che torna a casa senza il premio. Quello che non sale sul podio. Quello che non ha medaglie da appendere alla bacheca. Sono tutti pronti a consolarti affibbiandoti questo titolo, ma la festa la vanno a fare col vincitore vero e proprio.

Certo che applicare i concetti di "vittoria" e "sconfitta" alla vita è una cosa piuttosto infantile, e oltremodo riduttiva: lo ammetto. Non ha neppure molto senso, in ultima analisi, a meno che non si sia un po' ossessionati dall'orgoglio, dalla voglia di stringere in mano un trofeo, dalla voglia di ricevere in continuazione conferme del proprio valore - tutte caratteristiche purtroppo possiedo in una certa misura.

Il punto è che comunque mi riferisco ad un settore specifico della vita, nel quale purtroppo si tende spesso ad ingigantire le proprie insicurezze ed i propri limiti.

E niente.
Già che sono irritato, ne approfitto per lanciare qualche anatema.
Mi sono rotto di essere un vincitore morale. Mi sono rotto della gente che si lamenta in continuazione. Della gente che non apprezza quello che ha. Che sceglie di entrare a Medicina ( passando in circostanze misteriose il test) e poi, non solo non capisce quanto sia fortunata ad essere entrata a discapito di tante persone più motivate, ma ha anche la vaga indecenza di lamentarsi per qualsiasi lezione, qualsiasi cosa. Detesto chi non sa buttarsi a capofitto nelle cose che si è scelto per sé. Nessuno ci obbliga a stare qua. Abbiamo una sola vita per seguire molteplici passioni, abbi almeno il buon gusto di scegliere sulla base della felicità che puoi ricavarne ( e non della convenienza, economica, sociale o di qualunque altro tipo, perchè così stai solo fottendo te stesso, e sei un cretino).
Certo, sono deluso. Lo sono moltissimo. Amo vedere tutto ciò che una persona ha da offrire di positivo, e - quando non ci riesco - preferisco pensare che sia un MIO limite piuttosto che una sua reale pochezza. Stavolta mi assale davvero il sospetto di essere stato tratto in inganno. Sorrido quanto vuoi, mi presto quanto vuoi a qualsiasi tipo di gioco, cerco di essere quanto più accomodante possibile, sono disposto a scherzare coi problemi di coscienza di chiunque, ma c'è un limite a tutto. E questo limite è il fatto che palesemente tu stai morendo. Ogni giorno di più. Nello stereotipo si sguazza allegramente e senza problemi, ma prima o poi si affoga, e tu non hai aria. Sei felice? Vivi con pienezza? Oppure stai affogando in un mare di formaldeide che ti "fisserà" per sempre?

Il tempo è poco. Il mondo è gigantesco, le cose da fare incredibilmente tante. Ma no. No. Sono semplicemente troppe. E' semplicemente troppo, troppo per chiunque. E tu la vedi questa immensità incomprimibile? La senti che minaccia la tua stabilità di essere umano? Senti quanto si allontana ogni forma di comprensione dalla nostra vita? Percepisci che siamo destinati a sparire e che per non pensarci dobbiamo assumere di essere immortali almeno per le prossime 48 ore?

A queste domande non posso rispondere. Te lo potrei chiedere, ma non avrebbe senso. E neppure posso giudicare, perchè in fondo non posso saperlo.
Certo, poi invece potrei fare come faccio sempre, calarmi in una parte un po' oracolare, leggermente profetica e rispondere, sospirando:

" No, e per questo parleremo sempre senza comunicare".

domenica 27 aprile 2008

Rootless Tree


Non lo so come abbiamo fatto, io e te.
Non so neppure cosa abbiamo fatto, in realtà.
Forse..
Abbiamo piantato un albero senza radici
e ci siamo seduti sotto le sue fronde.
Ma quanto può vivere un albero senza radici?
La nostra tristezza l'ha sempre saputo..
Eppure era bello
Fintanto che non moriva.

Lo scheletro è lì, steccuto
Noi ce ne siamo andati
Forse un giorno cadrà
Per ora sta là, si aggrappa al tramonto.
Ogni tanto
(Se hai tempo)
Potremmo andare a fargli compagnia.
In fondo
Non aveva fatto nulla di male.

giovedì 24 aprile 2008

Lezione di Giapponese #1

Ma sì, perchè no? In fondo siamo cresciuti tutti con gli anime - i cartoni animati giapponesi - molti di noi hanno anche letto manga. Tante persone ne sono profondamente affascinate... In più, quando viene fuori che io so discretamente il giapponese tantissima gente tipicamente mi dice: " Nooo! Ma sei un genio! Come hai fatto?? Piacerebbe tantissimo anche a me!". E allora mi son detto: " Ma sì, proviamo a scrivere qualche lezioncina per fare capire a chi è interessato che non serve essere geniali, e che il giapponese è *quasi* una lingua come le altre".

Ma soprattutto, è uno strumento in più per comunicare. Magari non ci servirà mai nella vita professionale, a meno che non siate interessati come il sottoscritto a fare un po' di ricerca in Giappone - prima o poi - ma potrebbe comunque essere un giochetto divertente.

Cliccate qua se ci state: Lezione 1 (sul serio stavolta!)


Update: Sistemato l'errore di formattazione ...

martedì 22 aprile 2008

"I have a dream" - Note più o meno personali


Una bella occasione per confrontarsi con l'esperienza di un uomo che dell'insegnamento ha capito alcune cose, e oltre.
Certi uomini ormai anziani trasudano dignità, calma profonda, appaiono in pace con la propria vita, ma sempre perfettamente capaci di lasciarsi turbare ed affascinare dalla profondità dei pensieri. Nel prof De Bernard ho intuito una personalità di questo tipo, e ne sono rimasto profondamente affascinato.

Il confronto, anche se breve, è stato entusiasmante. Una delle poche volte in vita amia che ho avuto l'impressione di riuscire a portare nella realtà ciò che avevo pensato nella staticità dinamica della "teoria". Il bigliettino che ho scannerizzato e riportato a fianco vuole testimoniare che ho vinto una piccola sfida - quella di tirare fuori le palle e farmi avanti per tradurre in realtà condivisibile le mie idee - e ho ricevuto una paio di premi assai graditi per questa mia piccola rivincita. Ho stretto molte mani, incontrato molti occhi: sarò riuscito a comunicare qualcosa a qualcuno al di là della semplice occasione? Spero di sì.

In ogni caso, osservo come l'essermi occupato con interesse di una questione come quella della didattica, del contesto, dell' "I care" abbia indotto in me una piccola trasformazione: questi temi, questi movimenti di pensiero sono diventati parte integrante della formazione del mio pensiero, e saranno d'ora in poi il metro di giudizio per molte altre cose a venire. Non solo. Questo mi spinge anche a cercare e tirare fuori altre problematiche simili, e a creare un contesto in cui proporle e diventare recettivo per il contributo degli Altri. Insomma, mi piacerebbe che questo divenisse il mio modus operandi. Già Iamarf, solo il "corsettino di informatica". Solo.

lunedì 21 aprile 2008

Compito 8

Ristabilire la centralità della figura del paziente.

Formare medici colti ed educati dal punto di vista scientifico, ma soprattutto educati al riconoscimento e alla valorizzazione dell’Umanità che pervade la professione medica.

Questi i temi che mi sono parsi più significativi e densi di connessioni con il nostro seminario dal titolo “I care”. Cosa dovrebbe riguardarci più di questo?

Ciò che emana è un messaggio che ci invita a renderci conto di essere tutti parte dello stesso gruppo sociale, il consorzio umano.

Mi è piaciuta molto l’immagine del docente che guida lo studente nel suo approccio timoroso con l’oggetto del loro culto comune – il paziente - stabilendo con lui un rapporto di tutela, rispetto e vera e propria voglia di educare. In questo caso, è il docente ad applicare il concetto sotteso ad “I care”: egli è ben cosciente che il rapporto in via di formazione tra studente e paziente sarà fondamentale per assicurare il successo del patto generazionale tara medici di oggi e medici di domani, e profonde forza ed energia affinché lo studente possa sostenere il peso di un futuro professionale ed umano di grande responsabilità.

Nel contempo, lo studente deve farsi depositario a sua volta del messaggio dell’ I care: è suo dovere professionale ed umano rendersi pienamente conto di quanto sia importante essere coinvolti nello sviluppo di questa duplice relazione, per poterne trarre beneficio professionale e crescita in quanto uomo o donna. Lo studente deve scegliere di capire che tutto quel che accade intorno a lui lo riguarda profondamente, e un giorno riguarderà altri studenti.

Allo stesso tempo, ci tengo a sottolinearlo, lo studente dovrebbe avere l’umiltà e la maturità di accettare e , anzi, cercare, il confronto con i propri compagni, la vera fonte di ogni ricchezza.

venerdì 18 aprile 2008

Come ho avuto più volte modo di dichiarare - più o meno programmaticamente - questo blog rappresenta una sorta di (non troppo) piccola sfida: quella di trovare una forma di espressione dei miei pensieri che non sia mirata esclusivamente all'estetismo, ma primariamente alla comunicazione esplicita e alla condivisione diretta e priva di filtri dei medesimi. Salvo rari casi, sento di stare facendo un lavoro più che discreto: sono addirittura riuscito a dare un capo e una cosa alla matassa di alcune riflessioni che non ero mai riuscito a rendere chiare e limpide neppure a me stesso.

Sono stanco. Piuttosto provato dai recenti avvenimenti della mia vita. Ho conosciuto una persona che mi ha fatto intravedere un miracolo, ho affrontato le conseguenze della mia voglia di credere in questo miracolo, ho visto cambiare di punto in bianco questa visione, ho lottato per restare a galla e adagiarmi in una prospettiva di valutazione giorno per giorno di questa situazione, mi sono goduto i successi scaturiti dagli sforzi di entrambi, e adesso mi mantengo in perfetto equilibrio, un qualche equilibrio.
Ho raccolto le forze, le idee: ho studiato molto, ho provato a pensare a tante cose, ho dato una risposta a molti quesiti e ho interpretato con onestà molti segnali ed esigenze che scaturivano dai miei pensieri. La decisione di andarmene di casa è stata forse la questione più cruciale che abbia affrontato, perchè simboleggia la presa di coscienza da parte mia di molte necessità che - volente o nolente - devo soddisfare per diventare una persona ancora più solida e tranquilla.
Ho saggiato, in modo tanto inaspettato quanto "sensato", l'affidabilità del "social network" che sto creando, specialmente nell'ambito dell'università. Una cosa come questa è forse un piccolo unicum nella mia storia. Non solo: mi rendo conto sempre più di quanta tranquillità e fiducia in me stesso mi stia dando tutto ciò. Sapere che provo qualcosa per altre persone, e che sarei disposto a compiere sacrifici per loro è un pensiero incredibilmente confortante, quasi "normalizzante".
Avrei molto altro da dire, ma voglio passare alla parte "problematica".
Il primo problema si ricollega al primo punto... Non posso farci niente... Essere fedele a me stesso, vivere con convinzione e soprattutto genuina giocosità la mia vita sentimentale comporta necessariamente contrasti con una persona. Stavolta, però, non mi farò paralizzare, e andrò avanti sulla mia strada. Mi ha messo al mondo, e facendolo deve aver accettato che io potessi prendere strade di qualunque tipo. Anche questa, che tutto sommato non è neppure così strana.
Il secondo problema è un corollario alla situazione stessa. E' ovvio che gli stimoli si cerchino soprattutto intorno a sé, magari per poterli avere a portata di mano. Basta essere chiari, e non prendersi in giro a vicenda, che tanto ci si perde sempre. Chissà, forse succederà. Forse è solo la primavera che mi ha fatto impazzire, forse sono l'unico a farsene un problema, forse no. Di una cosa sono sicuro: è solo un freddo bagliore senza futuro.

E nonostante le note problematiche, confermo di essere felice. Non si sa mai.

Curiosi esperimenti su Twitter - Osen Komura

Osen Komura Twitter Mystery Solved

I got an email a few minutes ago from twitter telling me that Osen Komura was now following me. Great, so I wanted to see who this Osen was. Turns out, Osen is following 21,735 people.

Curious, I did some research on Osen and found that this person is trying to calculate the rate of following/followee on Twitter. What I mean by that is, if I follow someone, how likely is that person to follow me? Following someone on Twitter is basically like giving that person a direct-line of communication to you (remember, I said basically, not exactly). It turns out, there is around a 10% ->F<- Rate (that’s a craftee little thing I made of up for Following/Followee ration).

Discovering this little ratio is why Osen is following you. I hope this blog post doesn’t ruin the Osen experiment. I myself chose not to follow Osen, but hey, I’m socially anti-social.


Interessante, no?

giovedì 10 aprile 2008

Compito (???) 6

Eccomi qua. E' tempo di riorganizzare le idee, domare i pensieri e farne parole, è tempo di ricordarsi che saper comunicare ciò che si è maturato èa tanto importante quanto essere stati capaci di pensarlo.
Ma come fare a domare un'esperienza del genere? Come riuscirci quando ogni cambiamento del vento è emozionante? Questo post è la mia piccola sfida, vediamo se riesco a vincerla con voi, miei amici e lettori.

Di poche cose sono certo nella vita, pochissime. Quattro, per l'esattezza:
1) Siamo tutti nati
2) Tutti moriremo e doneremo i nostri atomi ad altra vita, altri miracoli.
3) Tutti proviamo dolore.
4) Tutti ci adoperiamo per non provarne.

Vi starete dicendo: " Belle parole, sei un filosofetto in gamba, ma cosa c'entra?".
Vi racconto una storia. L'unica storia possibile. LA Storia.
Matteo ha un Problema. Un Problema che lo fa soffrire limitando la sua libertà di azione nel mondo.
Anche Marco ha un Problema.
Marco e Matteo sentono di non poter convivere col Problema, e decidono di tentare di risolverlo, indipendentemente l'uno dall'altro. Entrambi sono tutti concentrati nella propria tribolazione, camminano a testa bassa, concentrando tutte le loro energie nella risoluzione del Problema, senza mai alzare la testa, pensando ognuno per sé. Prima che se ne possano rendere conto, Marco e Matteo inciampano l'uno sull'altro. Adesso hanno due problemi: il dolore che già provavano, e quello che si sono procurati scontrandosi. I due, però, sono adesso costretti a guardarsi in faccia. accade una cosa inaspettata. Entrambi pensano: "Cosa accadrebbe se io gli proponessi di aiutarmi a risolvere il mio problema, aiutandolo in cambio a risolvere il suo?". In men che non si dica, Marco e Matteo hanno formato un'unione solidale. Le conseguenze? Il dolore provocato dal loro scontro è svanito, e i loro Problemi adesso possono avvalersi dell'aiuto di un'altra persona. Non solo. Qui arriva il bello: Marco e Matteo incontrano Filippo, che ha un Problema. Immediatamente si rendono conto che adesso possono esercitare insieme una forza ancora maggiore per aiutare questa terza persona. Ecco che si aggiunge un terzo individuo all'unione solidale. Adesso queste tre persone possono affrontare un numero di problemi già MOLTO maggiore. Sono in tre: possono già esercitare forze interne molto intense, e cominciare a pensare che - in tre - si possono esercitare verso l'esterno azioni mirate ad aiutare non una sola persona, bensì due.
Insomma, avete già capito come va a finire la storia. Più il gruppo si ingrandisce, più la sua forza diventa travolgente. Ma c'è un aspetto da chiarire.
Detto molto brutalmente: quando ci troviamo nella merda e riusciamo ad uscirne, abbiamo tre opzioni:
1) Non rivelare a nessuno come abbiamo fatto ---> solipsismo. Morte della società.
2) Rivelare a pochi eletti la soluzione ----> élite. Massoneria, classismo, società immobile ma viva.
3) Rendere "opensource" la nostra soluzione ----> Società Solidale. Proliferazione. Miracolo. Amore, convivenza. Il genere umano che si alza, guarda il sole dritto negli occhi e sceglie di essere più felice, di marciare unito verso un obbiettivo: non certo quello di vincere il dolore, i problemi, la conflittualità, ma almeno quello di immaginare e vivere un mondo in cui ognuno di noi possa beneficiare della "saggezza" e del senso pratico di tutti gli altri, vivere sorretto da una rete di rapporti solidali, e provare sommo piacere nel contribuire a questa rete.

Che il vostro modo di amare la vostra umanità sia condividere materiale su MedWiki, regalare una risata a chi soffre in corsia, dare la vita, offrire un caffè al vostro migliore amico, mettervi a nudo come fa questa bellissima anima , offrire ai propri amici sicurezza, una buona dose di stronzate giornaliere, lealtà come fa questo pazzo , vincere ogni malumore con la propria genuinità, come fanno questa tizia, quest'altra e quest'altra ancora, dimostrare tenacia, intelligenza e sensibilità come lei - in ogni caso c'è bisogno di voi. Io ho bisogno di voi, tutti ne abbiamo, tutti ne possiamo avere.
I Clown mi hanno colpito, e mi hanno fatto capire proprio questo. Io parto da qui: questa sarà la maglia incrollabile del mio Social Network, lo scheletro solido della mia fragilità di essere umano. Voi cosa ne dite? Vi unite a noi? Al Cubo siamo 200... Se Marco, Matteo e Filippo potevano già essere una squadra indistruttibile, imamagainate cosa potremmo essere noi, per i nostri amici, per i nostri figli (un giorno), e soprattutto, per i nostri futuri pazienti, che ci meritano al meglio delle nostre potenzialità di esseri umani.

Qui secondo me si gioca il futuro di questo meraviglioso genere umano.

Caro Prof, io ho capito questo.

martedì 1 aprile 2008

Sul Valore del Contesto

Chiamiamolo pure "compito 5", ma - ironicamente - per il suo svolgimento richiede di svincolarsi completamente da questo concetto scolastico per sposare un modus operandi estremamente più serio e umano: la discussione.

Una delle frasi che più mi ha colpito quest'anno è stata pronunciata dalla prof.ssa Voegelin durante un'ora di fisica. Col suo fare tutto particolare se ne venne fuori tuonando: " Vi mettono in testa le risposte senza aspettare che voi facciate le domande!". E' incredibile come questa frase riassuma un po' l'intera questione dell'educazione e dell'apprendimento. Il contesto deve essere il presupposto per poter risalire alla nozione. E' sbagliato immaginare la conoscenza come un'insieme di idee platoniche cristallizzate nella loro forma perfetta in un plurimillenario iperuranio. In altre parole, la conoscenza non va accettata.

La conoscenza è in sè un fenomeno prorompente, la forma di trasgressione più elevata e folle che esista. Conoscere è divorare, sognare di strizzare il mondo tra le proprie mani e berne il succo avidamente, per tentare di dissetare uno spasmodico bisogno che non ha nè tempo nè ragione apparente. Conoscere è partecipare alla bellezza delle cose immortali e mortali, e trasalire di fronte al pensiero che nel nostro cervello - carne mortale, caduca - possa enatrare la consapevolezza di misteri così grandi da essere abissali e spaventosi - l'infinità dell'universo, la certezza della morte, l'assurdità della vita, l'indifferenza della natura.

Com'è possibile ridurre questa bomba nucleare cosmica ad una serie di nozioni da accettare come dogmi di una qualche religione laica? Non c'è molta differenza tra la passiva accettazione di un dogma come la resurrezione e la memorizzazione pedissequa di una formula matematica.

Capire - questa è la chiave, l'incentivazione della comprensione, dell'appropriamento delle cose del mondo. Attualmente è il risultato a farla da padrone: prendere bei voti, tenere una buona media, recuperare un debito formativo, essere pronti per le interrogazioni.
Questo ha una sua utilità, ma è tremendamente insufficiente, e basta guardare ovunque per rendersene conto. A cominciare dal fatto che i criteri di votazione sono spesso arbitrari e non efficaci. La tendenza è quella di confrontare ciò che lo studente è capace di ripetere con un paradigma cristallizzato da qualche parte - ma per fortuna non è sempre così, e ci sono insegnanti che comprendono estremamente bene il senso ultimo del proprio compito.

E se provassimo a lasciar succedere le cose? Se evitassimo di ricrearle tutte in una dimensione artificiale e macchinosa? Se facessimo leggere meno manuali e più romanzi, meno teoria e più pratica di laboratori, aria aperta, natura, vita, cuore.
Insomma, io voglio credere che siamo ancora capaci di essere un'umanità, e non una sorta di surrogato in polvere, in attesa di qualche dio che ci sciolga in acqua.

Compito 3 - Giocando con Pubmed

Per prima cosa ho scelto di provare ad orientarmi inserendo una keyword di mio grande interesse: Virology Questo mi ha permesso di valutare il tipo di risultato che posso aspettarmi inserendo un criterio così generale, e di apprezzare la vastità delle pubblicazioni.
Immediatamente ho valutato anche la porzione di reviews presenti per lo stesso argomento.
In secondo luogo ho voluto effettuare una ricerca più specifica nello stesso settore: Sendai Virus - constatando una presenza più che esaustiva di informazioni al riguardo.
Ho poi esplorato le sezioni specifiche con i loro interessanti tools: in particolare ho trovato estremamente interessante il "motore di ricerca" per i singoli geni e per i genomi decifrati: sono informazioni chiaramente assai specialistiche, che pure simboleggiano una forma di condivisione della conoscenza impensabile fino a poco tempo fa. La vita resa pubblica.
Infine, una nota di particolare rilievo deve essere dedicata alla funzione di salvataggio ricerche. Infatti, non solo consente di avere sempre a portata di mano i risultati delle ricerche precedentemente effettuate, ma fornisce anche la possibilità di essere avvertiti tramite mail qualora comparissero nuovi risultati. Funzione utilissima specialmente per argomenti ancora poco trattati/coperti da letteratura medica.